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AMERICA LATINA 2020 IL RITORNO DELLE DITTATURE

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In Cile il governo del Presidente Piñera, fratello dell’ex ministro dell’Economia di Pinochet, ha ordinato all’esercito di reprimere le proteste di piazza di una parte consistente della popolazione che è disperata, affamata, emarginata. Ci sono morti, persone accecate, molti casi di detenzione e torture, perfino nei confronti di minorenni.
In Brasile la Presidente Rousseff è stata costretta alle dimissioni e all’ex Presidente Lula è stato impedito di candidarsi alle presidenziali. Risultato: è stato eletto uno degli ex aguzzini dei tempi della dittatura, Bolsonaro. Da allora gli squadroni della morte uccidono quotidianamente, specialmente nelle favelas.
In Paraguay c’è stato un golpe parlamentare contro il Presidente Lugo.
Lo stesso è accaduto in Perù nei confronti del Presidente Vizcarra.
In Bolivia gli Stati Uniti hanno imposto un governo di fatto con Jeanine Añez, apprendista dittatrice manovrata dalle forze armate, costringendo all’esilio il Presidente Morales.
In Ecuador gli indios vengono massacrati dagli squadroni della morte e gli oppositori repressi.
In Colombia il governo protegge e arma gli squadroni della morte del Gao, che agiscono anche in altri Paesi, come il Venezuela, il Brasile, l’Ecuador e la Bolivia.
In Venezuela mentre dall’interno l’opposizione cerca da anni di rovesciare i Presidenti che si sono succeduti, utilizzando ogni mezzo, lecito e illecito, dall’esterno si cerca di strangolarne l’economia e si organizzano colpi di Stato (ci sono stati cinque tentativi in diciotto anni).
Nel frattempo l’immenso mare di vegetazione conosciuto come Amazzonia brucia in Brasile, Ecuador, Colombia, Venezuela e Bolivia. In pochi mesi è andata in fumo un’area vasta quanto la Bielorussia.
Insomma, il Sudamerica è in fiamme. In Sudamerica è in atto una vera e propria restaurazione, un ritorno verso le dittature degli anni della guerra fredda (versione 2.0), quando l’America Latina era il cortile di casa degli Stati Uniti, quando l’America Latina era spremuta dalle multinazionali statunitensi, quando l’America Latina era il luogo degli esperimenti sociali ed economici del neoliberismo.
Per capirci meglio, mettiamo in fila un po’ di informazioni.
Dalla fine degli anni Novanta il Sudamerica è stato attraversato un’ondata di democrazia dal basso e di ribellione alla dittatura delle multinazionali.
Nel 2005 inizia la restaurazione.
Nasce in Brasile l’Instituto Millennium o Imil, il principale veicolo del neoliberismo in Sudamerica, anche attraverso il finanziamento a media o direttamente a singoli influenti giornalisti. L’Imil è diventato capofila di una vera e propria rete di altre fondazioni del continente.
La più importante delle quali si chiama Atlas Economic Research Foundation, definita dalla prestigiosa rivista d’inchiesta “The Intercept”, «il motore che ha rimodellato il potere politico in un Paese dopo l’altro».
Una vera e propria estensione della politica estera degli Stati Uniti, finanziata dal Dipartimento di Stato Usa e dal National Endowment for Democracy, il Ned (quello che organizza da vent’anni rivoluzioni in tutto il mondo), oltre che da alcune delle più potenti multinazionali.
Atlas ha finanziato le campagne elettorali di Piñera in Cile, Bolsonaro in Brasile e di tutti gli altri Presidenti restauratori di destra in America Latina.
Atlas e Imil sono finanziate da multinazionali petrolifere, minerarie, agroalimentari, chimiche. A loro volta di proprietà della trinità della finanza mondiale, del conglomerato finanziario che possiede un quarto di tutta la ricchezza del pianeta: BlackRock, Vanguard e State Street.
L’Amazzonia brucia, loro guadagnano. Le grandi aziende sudamericane vengono privatizzate, loro guadagnano. In America Latina vengono ristrette le libertà individuali, loro guadagnano. Gli indios vengono cacciati e assassinati, loro guadagnano.
Il 22 febbraio del 2019 a Santiago del Cile si è svolto, a porte chiuse, il Forum per il progresso del Sud America. Alla riunione hanno partecipato tutti i personaggi politici (ma proprio tutti) autori della svolta a destra del continente. E ancora, gli amministratori delegati delle principali multinazionali (non solo statunitensi), il fondatore e padre-padrone di BlackRock Fink, il direttore del Ned Gershman
e il vice direttore della Cia Bishop.
Di che cosa hanno parlato? Nel documento finale si parla esplicitamente di «cacciare i comunisti dall’America Latina e di distruggere con ogni mezzo i sindacati e le associazioni che si battono in difesa degli indios». A ogni costo.
Restano ancora due fortini da abbattere: il Venezuela di Nicolàs Maduro e l’Argentina di Alberto Fernández e Cristina Kirchner.
In tutto questo, in questa guerra, l’Europa da che parte sta? L’Italia da che parte sta?
L’attuale silenzio sarà forse dovuto al fatto che aziende come la Benetton sfruttano una parte consistente del suolo sudamericano per produrre beni per le proprie aziende sulla pelle delle popolazioni indigene come i Mapuche?


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