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La dignità umana è profondamente connessa alla possibilità di esprimersi attraverso un impiego che rifletta le proprie aspirazioni e abilità. Oggi come in passato il lavoro spesso diventa un obbligo imprescindibile per la sopravvivenza, generando situazioni degradanti e una crescente insoddisfazione. Questo fenomeno solleva interrogativi circa la natura autentica della libertà individuale e il ruolo fondamentale che il lavoro riveste nella costruzione della dignità personale. Al fine di comprendere appieno tale dinamica, è cruciale intraprendere un’analisi approfondita dell’evoluzione storica del lavoro, esaminandone le ripercussioni sul piano sociale ed economico, nonché le sue implicazioni di natura filosofica e politica. Un simile approccio ci consente di inquadrare il lavoro non solo come una mera attività produttiva, ma come un elemento determinante nelle strutture di potere, nelle disuguaglianze sociali e nella definizione dei diritti e delle libertà fondamentali.

Il lavoro come fondamento della dignità

Nella nostra tradizione, cosiddetta occidentale, il lavoro è stato storicamente considerato un pilastro fondamentale nella definizione della dignità individuale. In particolare, la Costituzione italiana assegna al lavoro un ruolo centrale, ponendolo alla base della Repubblica e riconoscendolo come un diritto e un dovere sociale. Tuttavia, la realizzazione concreta di questo principio ha incontrato numerosi ostacoli, principalmente a causa delle politiche economiche neoliberali, che hanno promosso la libera concorrenza e la privatizzazione, minando progressivamente le acquisizioni dello stato democratico-sociale. La sociologia del lavoro, da parte sua, ha sottolineato come il lavoro non rappresenti esclusivamente un mezzo di sostentamento, ma anche una modalità di autorealizzazione e un’opportunità di partecipazione attiva alla vita comunitaria.

La mercificazione del lavoro nella società contemporanea

L’ascesa del regime finanziario ha accentuato in modi imprevedibili la mercificazione del lavoro, riducendo l’attività lavorativa a una pura merce scambiabile sul mercato. Questo fenomeno è stato ampiamente analizzato da economisti come Guy Standing, che nel suo concetto di “precariato” descrive come il lavoro sia stato trasformato in un elemento di instabilità e incertezza, dove il valore umano è spesso ridotto a una risorsa facilmente sostituibile. Nei moderni piani aziendali, il lavoro è ormai considerato interscambiabile, con focus quasi esclusivo sulla sua produttività. Le distinzioni tra i vari ruoli tendono a scomparire, e il lavoratore stesso è trattato come una “commodity” che, pur mantenendo alcune differenze qualitative, può essere facilmente sostituita o riorganizzata.

La follia è agile. Il lavoratore, in quanto essere umano, deve essere persuaso della propria felicità, e per questo motivo si vedono promuovere nuovi modelli, più o meno “agili”, con l’obiettivo di anestetizzare l’ambiente e le persone che vi operano. Questi modelli, ispirati da convinzioni infondate, cercano di vendere l’idea che, adottando metodi che appaiono razionali e funzionali, si possa migliorare la qualità e l’efficienza. Tuttavia, il risultato di tali approcci è spesso fallimentare: i prodotti creati sono esteticamente gradevoli, ma incapaci di funzionare correttamente, con frequenti malfunzionamenti e una durata limitata. Essi rispecchiano la stessa natura effimera di chi li ha realizzati, caratterizzati da un ciclo di vita paragonabile a quello di chi li sviluppa in modo “agile”. In effetti, questi prodotti sono “agili” non solo nel design, ma anche nella loro rapida obsolescenza, funzionando solo nelle mani di coloro che li hanno concepiti e progettati.

Questa logica di mercificazione è stata approfondita anche dal filosofo Zygmunt Bauman, che ha parlato di “società liquida“, dove le strutture sociali e professionali diventano sempre più fluide e precarie, e i legami di lungo termine sono sostituiti da rapporti di breve durata e basati sulla competizione. Questo ha portato a un contesto in cui i lavoratori sono considerati risorse da ottimizzare, piuttosto che persone con un valore intrinseco, e la flessibilità del mercato del lavoro è diventata la norma, nonostante le gravi conseguenze per la dignità del lavoro stesso.

Inoltre, l’economista Thomas Piketty ha messo in luce come le politiche fiscali favorevoli ai redditi elevati e la crescente disuguaglianza economica abbiano ridotto la quota salariale sul PIL, accentuando la frattura tra ricchi e poveri. L’indebolimento e la progressiva corruzione dei sindacati, uniti alla sempre crescente competizione globale tra lavoratori, hanno accelerato questo processo generando un contesto in cui il lavoro è visto come un’opportunità di sfruttamento piuttosto che una forma di realizzazione personale. La diffusione della insoddisfazione e della relativa precarietà lavorativa ha alimentato un senso di alienazione e frustrazione tra le persone, riducendo la loro capacità di progettare un futuro stabile e prospero.

Questo processo ha portato alla creazione di ruoli fittizi e alla valorizzazione di posizioni che spesso non offrono un reale contributo alla società oltre ad un ruolo iscritto in un biglietto da visita, come osservato dal filosofo e sociologo Richard Sennett, che ha analizzato la crescente separazione tra il lavoro e la vita personale. L’efficienza diventata mantra della produttività ha mascherato una realtà in cui le persone sono trattate come risorse da sfruttare al massimo, piuttosto che come esseri umani con aspirazioni e diritti.

Siamo seduti sopra un albero secco? In questo contesto, troppe persone hanno perso la capacità di orientarsi, come se si cercasse una bussola all’interno di una tempesta elettromagnetica. Ci troviamo circondati da individui che sembrano soddisfatti di un ruolo creato da qualcun altro o autoproclamato, ma che non corrisponde alla realtà o alla vera soddisfazione personale. Questo porta molti a cercare di essere “a capo di qualcosa”, anche solo a livello verbale, nel tentativo di riscoprire un senso di autodeterminazione e di poter sollevare la testa di fronte a colleghi, amici, figli, parenti, o anche a un semplice astante. È come vivere un albero con un tronco robusto ma che ha ormai perso tutti i suoi rami vitali, che non producono né fiori né frutti; ogni ramo, seppur ben decorato, arriva fino alla cima, secca, ma adornata con luci che non illuminano davvero.

Il paradosso della libertà nel mondo del lavoro moderno

Nonostante le conquiste in termini di diritti e libertà, molti individui si ritrovano intrappolati in lavori che non rispecchiano le proprie aspirazioni, accettando condizioni lavorative precarie per necessità economiche. Questo paradosso mette in discussione la percezione della libertà nel mondo che viviamo, suggerendo che essa possa essere inferiore a quella sperimentata da alcuni schiavi nell’antica Roma, i quali, una volta liberati, potevano raggiungere prosperità e influenzare la società attraverso il mecenatismo. La libertà economica attuale si traduce spesso in una libertà apparente, vincolata dalle esigenze del mercato e dalla dipendenza dal consumo.

I vantaggi del neoliberismo

Nonostante le critiche, il neoliberismo ha portato qualche significativo beneficio economici e sociale. La competizione e l’apertura dei mercati hanno incentivato l’innovazione e migliorato l’efficienza produttiva, portando a una riduzione della povertà in diverse aree del mondo a scapito di altre devastate da continue guerre.
La globalizzazione ha permesso a milioni di persone di accedere a beni e servizi prima inaccessibili, contribuendo alla crescita economica globale. Beni che a volte sono superflui e realizzati secondo modelli di produzione atti a generare obsolescenza programmata.
Inoltre non possiamo negare che la flessibilità del mercato del lavoro abbia permesso a molte aziende di adattarsi rapidamente ai cambiamenti economici, creando nuove opportunità di impiego e favorendo la nascita di settori innovativi. Tuttavia, questi benefici si accompagnano a costi sociali significativi, che devono essere attentamente valutati nel bilancio tra efficienza economica e giustizia sociale.

Una prospettiva filosofica sulla dignità del lavoro

La vera libertà non risiede solo nella scelta individuale, ma nella consapevolezza di poter contribuire a qualcosa di più grande. Il lavoro dovrebbe essere il mezzo attraverso il quale l’individuo trova realizzazione e non solo sussistenza. Hannah Arendt, nella sua distinzione tra labor, work e action, sottolinea come la pura fatica ripetitiva non porti dignità, mentre il lavoro creativo e l’azione politica costruiscono la vera libertà dell’individuo. In questa prospettiva, la modernità ha trasformato l’uomo in un ingranaggio di una macchina economica, privandolo della capacità di riflettere e di creare valore al di fuori della logica del profitto. Il filosofo-economista Karl Marx , tanto osannato quanto demonizzato, aveva già individuato il rischio dell’alienazione del lavoratore, il quale, privato della proprietà del frutto del proprio lavoro, perde il senso stesso della propria esistenza.

A ciò si aggiunge una riflessione più profonda sulla natura stessa del lavoro e della libertà: possiamo definirci liberi se la nostra esistenza è vincolata alla necessità di lavorare per sopravvivere? E se il lavoro stesso non è in grado di garantire un’autentica realizzazione personale, come possiamo sperare di costruire una società giusta? Il confronto con altre epoche e culture dimostra che il modello attuale non è necessariamente l’unico possibile. Società preindustriali, ad esempio, organizzavano il lavoro in modo comunitario, senza la divisione netta tra tempo libero e tempo produttivo tipica del capitalismo moderno.

Conclusione

La dignità nel lavoro rimane una questione centrale nelle società moderne. È fondamentale promuovere politiche che valorizzino il lavoro come espressione delle aspirazioni individuali, garantendo condizioni che rispettino la dignità della persona e favoriscano una reale libertà. Solo attraverso un impegno collettivo in questa direzione sarà possibile superare le contraddizioni del sistema attuale e costruire una società più equa e rispettosa del valore intrinseco di ogni individuo.

Bibliografia

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Igor Wolfango Schiaroli

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