Le Femen, sono un gruppo di donne che si spogliano per attirare l’attenzione su temi quali i diritti umani e la democrazia. Cosa si trova dietro l’iconografia ufficiale raccontata dai media?
di Franco Fracassi

Hanno augurato ai fascisti francesi di essere «sexterminati», hanno insultato l’allora presidente del consiglio italiano Silvio Berlusconi sotto i suoi occhi. Hanno sfidato il potente presidente russo Vladimir Putin. Hanno accusato la federazione calcistica europea di favorire la prostituzione. Hanno gioito in piazza San Pietro per le dimissioni di Benedetto XVI. Hanno fatto tutte queste cose (e molte altre) indossando la divisa d’ordoinanza: a seno nudo. Le Femen sono diventate un vero e proprio fenomeno mediatico mondiale. C’è chi le incensa assurgendole a baluardo del femminismo del Ventunesimo secolo, chi invece le accusa di essere unicamente delle esibizioniste. Noi siamo andati oltre gli slogan, ricostruendo la storia delle Femen e raccogliendo le loro testimonianze, oltre che quelle di persone che sono state in stretto contatto con il gruppo.
Reportage di “Vice”, girato a Parigi.
Partiamo dalla cosa più insolita. Le Femen sono guidate da un uomo, che ne è anche il fondatore. «Senza un uomo dietro non saremmo mai venute fuori», ha dichiarato una delle leader, Inna Shevchenko. Si chiama Viktor Svyatskiy. È nato trentasette anni fa a Khmelnytskyi, una città di duecentosessantamila abitanti, trecentoventi chilometri a ovest di Kiev. Viktor è concittadino di Oksana Shachko, Anna Hutsol e Irina Khanova, cofondatrici del movimento. «Abbiamo sempre deciso tutto insieme a Oksana, Anna e Irina. Con loro tre mi conosco da una vita. Non sono un tiranno», sostiene Svyatskiy.
La ventottenne documentarista australiana di origine ucraina Kitty Green ha passato quattordici mesi all’interno del movimento per poter girare un film: «Svyatskiy ha conquistato la sua posizione di potere, dalla quale ha il completo controllo del gruppo. Le ha convinte che non sono in grado di fare nulla senza il loro aiuto. Le ha sottomesse. Loro non riescono a dirgli di no. Inoltre, Viktor ha un pessimo carattere. È irascibile. Alle ragazze non esita a urlargli contro, e talvolta arriva a lanciargli una sedia. Prima di intervistarlo avevamo una paura fottuta. Ci ha detto: “Ci incontriamo al parco”. E noi abbiamo pensato: “Mio Dio! Ha deciso di farci fuori”. In altre parole, io e il cameraman eravamo terrorizzati da lui».

«È vero. Ci violenta psicologicamente, in continuazione. Però credo sia giusto così. Viktor ci ha dato l’opportunità di capire che cosa sia il patriarcato. Le donne sono schiave dei maschi. La violenza viene esercitata contro di loro nelle case. Viktor ci ha anche fatto capire come gli uomini possano essere bastardi. Noi siamo ucraine, non conosciamo altro che la società patriarcale. La accettiamo. Lui ci ricorda quotidianamente questa condizione», conferma Shevchenko. «Svyatskiy è le Femen. Le ragazze sono vittime di una sorta di sindrome di Stoccolma per la quale si sentono legate a Svyatskiy, malgrado lui rappresenti proprio quella società maschilista che le Femen credono di combattere a seno nudo», conclude Green.
Per Svyatskiy si tratta di strategia, di un modo per formare il carattere rivoluzionario delle Femen: «Queste ragazze sono deboli. Non hanno un carattere forte. Non hanno nemmeno il desiderio di essere forti. Si mostrano sottomesse, molli, poco puntuali e con tanti altri difetti, che gli impediscono di diventare attiviste politiche. Il mio lavoro è quello di fargli capire tutto ciò, di stimolarle».
Sono tre gli obiettivi politici delle Femen: superare il dominio degli uomini sulle donne, combattere i dittatori e sconfiggere la prostituzione. Alexandra Shevchenko, sorella di Inna: «Il nostro è il nuovo femminismo. Le vecchie femministe si vestivano in modo mascolino e pensavano che essere alla pari dei maschi volesse dire mascolinizzarsi. Il nuovo femminismo sostiene: le donne non sono ugualli agli uomini, e questa è una cosa positiva. Essere donna è bello. Le tette sono un simbolo di femminilità. Ecco perché le Femen protestano in topless. Solo attraverso la differenziazione si potrà realmente raggiungere la parità», spiega Svyatskiy. «Il novantanove per cento delle ucraine neanche sa cosa sia il femminismo. Per questo, nel Paese che non ascolta le sue donne, le Femen scelgono di mostrare il corpo per far sentire la propria voce. La nudità come strumento pacifico e mediatico. Le donne nude fanno paura. Il nostro è femminismo pop».

Anche la nascita e la storia del gruppo presenta le sue stranezze. L’ha raccontata Anna Hutsol, in un libro autobiografico (“Femen”), scritto con le sorelle Shevchenko ed edito in Francia. Anna e Viktor si incontrarono all’inizio degli anni Duemila nella loro città (Khmelnytskyi) in un circolo politico giovanile d’ispirazione neomarxista. I due trovarono subito un’intesa, e nel 2005 decisero di fondare un’associazione studentesca che appoggiava il Partito comunista nella persona di Olga Ivanovna Ugrak, anonima candidata alle elezioni municipali. «Cercavamo una sponda politica. Siamo, però, saliti sul carro sbagliato. Il Partito comunista ha preso appena il tre per cento dei voti. Abbiamo capito che dovevamo cercare altrove».
Igor Bekrut era un torbido uomo d’affari asceso al potere e alla ricchezza in quel turbolento periodo che ha segnato la fine dell’Unione Sovietica, quando le privatizzazioni allegre imposte dal nuovo corso capitalista portarono fiumi di denaro nelle tasche di rampanti criminali in doppiopetto. Bekrut, sbarcato in Ucraina con alle spalle i capitali delle sue banche in Kazakistan e in Russia, fondò un partito, Grande Ucraina, di chiara ispirazione nazionalista. Diceva di ammirare la «dittatura democratica» del suo amico Putin, cui si ispirava, e partecipava a incontri con leader dell’estrema destra russa e ucraina. «Berkut era l’uomo giusto per noi». Hutsol e Svyatskiy trasformarono la vecchia associazione studentesta neomarxista in un gruppo di supporto a Grande Ucraina, dal nome Nuova Etica. Svyatskiy in seguito è stato tra gli organizzatori di alcune manifestazioni del partito nazista Svoboda, a cui, ovviamente, ha partecipato anche Anna.

«Nel 2007 mi trasferii a Kiev per lavorare nello show business, insieme a star della canzone come Tina Karol o il gruppo dei Quest Pistols», ha scritto Hutsal. «Viktor mi ha seguito pochi mesi dopo. E a ruota Irina e Oksana. Proprio lavorando nello spettacolo ho capito che giovani e belle ragazze hanno la possibilità di poter usare il proprio corpo per attirare l’interesse dei media». E così Svyatskiy iniziò a girare per il Paese in cerca di ragazze da reclutare. Green: «Lavoravano come spogliarelliste, o come modelle di nudo, oppure erano giovani madri single vogliose di scappare dalla provincia. Ovviamente, tutte rigorosamente carine. Le belle ragazze possono ottenere le prime pagine dei giornali. È divenuto il loro modo per vendere il marchio Femen». Svyatskiy: «Gli uomini fanno tutto per il sesso. Anche io? Certo. Nel gruppo che ho creato ci sono solo donne e carine. Non sono un asceta. Sfrutto il vantaggio di far parte delle Femen».
Femen nacque nel 2008 per impulso di Svyatskiy, Hutsol, e delle loro concittadine Khanova e Shachko (anch’esse ex militanti del Partito comunista). Nel manifesto del movimento si legge: «Abbiamo la volontà di formare un quadro nazionale di femminilità, maternità e bellezza, basandosi sull’esperienza del movimento delle donne euro-atlantiche». I quattro ex comunisti ed ex filo Putin diedero il via a una campagna azioni dimostrative contro l’allora presidente ucraino Viktor Yanukovich, accusato, tra le altre cose, di essere troppo vicino alla Russia. Ma il gruppo si concentrò soprattutto intorno allo slogan: «L’Ucraina non è un bordello». «Gli introiti illegali della prostituzione rappresentano un giro d’affari di quasi due miliardi di euro all’anno in Ucraina. In un Paese corrotto come il nostro, i primi a trarre vantaggio dalla prostituzione, oltre che a guadagnarci, sono proprio gli uomini politici e alcuni burocrati», spiega Anna Hutsol. «A Kiev il settantatré per cento delle ragazze tra i diciotto e i ventitré anni hanno confessato di aver avuto almeno un rapporto a pagamento con uno straniero».

Marguerite Stern, una delle attiviste imprigionate in Tunisia ha detto nel giugno 2013 al quotidiano francese “Libération”: «Ho scoperto l’esistenza di Svyatskiy solo quando Inna un giorno ne ha parlato. Per noi è stato difficile da digerire che Femen abbia una struttura patriarcale. So anche, però, che Viktor non fa più parte di Femen». In realtà, quando a luglio dello stesso anno ignoti hanno fatto irruzione nella sede di Kiev del gruppo, distruggendo tutto, hanno trovato Svyatskiy dietro la scrivania della direzione. Nei giorni successivi le stesse Femen hanno diffuso le fotografie con il suo volto tumefatto.
Secondo le testimonianze raccolte da chi è fuoriuscito dal movimento, l’organigramma delle Femen è diviso su due livelli. Il primo è composto da quattro attiviste (le sorelle Shevchenko, Anna Hutsal e Oksana Shachko). Sono loro che rilasciano le interviste e che decidono le azioni da compiere. Il secondo livello è formato da tutte le altre, che non hanno il permesso di farsi intervistare. Molte di queste ultime partecipano al massimo a un’azione e poi lasciano il gruppo.
Nel corso degli anni sono state diverse le giornaliste che hanno svelato dal di dentro il movimento. Come diverse sono state le fuoriuscite che hanno raccontato la propria storia.

Il fondatore, nonché leader ombra, delle Femen Viktor Svyatskiy, accusato da alcune di loro di essere violento e maschilista.
Daryna Chyzh lavora per il canale ucraino “1+1”. Grazie al fatto di essere una bella ragazza, è riuscita a entrare nelle Femen, passando tutte le selezioni e riuscendo a prendere parte all’azione anti jihadista di fronte alla moschea di Parigi. «Mi pareva di fare un provino da modella. Almeno nella prima fase della selezione. Mi è stato chiesto di spogliarmi e di mostrare il seno per fare delle foto. Credo volessero anche rendersi conto se fossi pudica oppure no. Se si viene selezionate inizia un duro addestramento, molto fisico, durante il quale le ragazze vengono messe alla prova contro falsi poliziotti, vengono aggredite, talvolta picchiate. Fanno entrare nel movimento solo coloro che non cedono psicologicamente, che riescono a resistere fisicamente alle aggressioni e che mostrano sufficiente rabbia da riuscire a finire su un notiziario tv». Secondo la Chyzh, le attiviste ricevono uno stipendio mensile di mille euro, mentre le dipendenti dei vari uffici di coordinamento arrivano fino a duemila e cinquecento. «I soldi arrivano da importanti uomini d’affari e da fondazioni statunitensi ed europee, fortemente interessati al mercato dell’Europa dell’Est, geopoliticamente e non».

È riuscita a infiltrarsi anche Iseul Turan. L’ha fatto nelle Femen parigine, visto che è francese. A differenza della Chyzh, però, studia Legge all’università di Parigi. Anche la sua motivazione è diversa, visto che appartiene a un movimento femminista in aperto contrasto con le Femen, le Antigones. «Sono piene di stereotipi e non vogliono scostarsi dalle loro idee. Sono ignoranti. Non conoscono e non vogliono conoscere. Se cerchi un confronto, lo rifiutano. Così, anziché portare le donne nel dibattito pubblico, chiudono il dialogo. Non c’è nessuna riflessione fra loro, solo addestramento. Sono ignoranti? Sì. Si corre, si urlano slogan e si imparano i gesti da riproporre durante le azioni. Per il resto le Femen sono innamorate della loro immagine. Per questo si preoccupano tanto dei media. Sono una vera e propria agenzia di comunicazione». Per Turan non è stato difficile entrare nelle Femen: «Di solito non sono aperte verso le nuove. Con me non è stato così. Mi hanno preso subito in simpatia. Le altre ragazze venivano tutte considerate come carne da cannone. Non credo navighino nell’oro, perché costringono le militanti a vivere in ambienti poveri e sporchi».
«Ho provato a organizzare un dibattito sulla teoria del “genere”. Sono stata subito aggredita e accusata di essere una borghese da parte delle due ucraine. Nei sei mesi che ho passato con loro non è mai stata organizzata una discussione. Un giorno ho avuto l’ardire di evocare il nome di Caroline Fourest. Le cinque leader (tre francesi e due ucraine) sono scoppiate a ridere. Mi hanno detto che era un’idiota e che non valeva nemmeno la pena di citarla in un discorso», ha aggiunto l’infiltrata delle Antogones. Fourest è una scrittrice e giornalista femminista che da tempo ha lanciato una campagna contro i fondamentalismi di tutte le religioni, è stata presidente del Centro omosessuali e lesbiche di Francia, è considerata una pennivendola dalla leader del Fronte nazionale Marine Le Pen. Tutti elementi che dovrebbero farne una beniamina delle Femen. Eppure…
Kitty Green non si è infiltrata, ma ha comunque passato tanto tempo nel movimento, studiandolo con attenzione. «La loro strategia di marketing è così ben congeniata da far piovere sulle Femen soldi da tutto il mondo. Anche da uomini e organizzazioni potenti? Non potrei che rispondere sì. Quello che mi ha fatto riflettere è, invece, la struttura di potere insana all’interno del movimento. Oltre al fatto che sospetto, anche se non sono riuscita a trovare prove al riguardo, che Svyatskiy abbia legami di alto livello con il nuovo governo ucraino».
Alice è un’ex Femen. Il suo è un nome fittizio, affibiatogli dalla reporter del quotidiano francese “Le Figaro”, perché aveva «paura di raccontare» la sua «verità». È stata una delle attiviste a partecipare all’irruzione a seno nudo nella cattedrale di Notre-Dame, quando le Femen esultarono per le dimissioni di Papa Benedetto XVI. «Non rinnego la mia azione, ma mi sento delusa, disillusa». Alice è molto dura con il movimento: «Derive settarie, discriminazioni, lavaggio del cervello. È questo il volto nascosto del movimento femminista. Le Femen plasmano il tuo spirito. Non esisti più in quanto individuo, ma solo attraverso il gruppo. Femen trasforma il tuo corpo e il tuo spirito. Vieni assorbita naturalmente, senza violenza, verso una totale abnegazione, tralasciando ogni spirito critico. Da recluta, devi ripetere sempre i principi fondamentali del movimento, interiorizzarli in modo che possano essere ricordati meccanicamente come una lezione imparata a memoria. E chi parla troppo viene indotta ad allontanarsi. Un paradosso. Le Femen non rispettano le donne. Le componenti del gruppo vengono trattate dai loro capi come carne da macello».

Poi c’è l’attivista tunisina Amina Sboui, che rischia vent’ani di galera a causa della sua azione politica all’interno delle Femen. «Non faccio più parte del movimento. È islamofobico. Allontana la gente dalle nostre battaglie invece di avvicinarla. In Tunisia non ho più amici».
Infine, la brasiliana Sara Winter. Forse le sue dichiarazioni possono essere dettate dalla rabbia, visto che è stata cacciata dal movimento: «È una società di marketing, non un movimento sociale. Forse in passato le loro intenzioni erano buone, ma adesso si il movimento è totalmente corrotto». La Winter ha confermato le accuse mosse da un’altra attivista brasiliana, Bruna Themis, che fino a prima della sua cacciata aveva negato con forza: «La dote principale che deve avere un’attivista è l’avvenenza. Non conta ciò che pensa o la sua intelligenza. Bruna è stata cacciata dal movimento con un oedine giunto direttamente da Kiev. Secondo loro era ingrassata. Mantenere la linea è una condizione sine qua non per far parte delle Femen».

Se la loro struttura organizzativa e le loro regole sono oggetto di controversie, ancora più opaca è la loro struttura finanziaria. La reporter ucraine Chyzh ha rivelato che il suo trasferimento a Parigi «è stato totalmente spesato: viaggio in aereo, taxi, vitto e alloggio, nonché trucco e cosmesi. Secondo i miei calcoli, la mia permanenza in Francia è costata almeno mille euro al giorno. Intorno alle Femen girano un sacco di soldi. Vengono da soggetti tendenzialmente ostili alla Russia. Per esempio, ho visto più volte Alexandra Shevchenko in compagnia del ricco proprietario di una casa di produzione tedesca specializzata in musica elettronica Helmut Geier, della milionaria bavarese attiva nel campo delle compagnie aeree e degli hotel di lusso Beate Schoeber, dell’uomo d’affari americano fondatore del “Kyiv Post” Jed Sunden». Sunden e il suo quotidiano sono stati tra i principali sostenitori della rivolta di Maidan e del successivo nuovo governo ucraino.
Anche l’ex attivista Sboui conferma la ricchezza del movimento: «Arrivano tanti soldi, che permettono alle attiviste di girare il mondo e di organizzare azioni ovunque. Da dove arrivano? Non sono riuscita a saperlo. L’ho chiesto tante volte, ma non ho mai ricevuto risposta. È il segreto meglio conservato del gruppo. Una cosa la so, però, che le Femen riescono a entrare con un visto regolare anche in Paesi dove sarebbero extra comunitarie. Per le attiviste non è mai un problema ottenere i documenti per entrare in un Paese».
Infine, lo scorso 25 giugno sulla pagina Facebook “Femen International” è apparso un post singolare: «Cari follower, siamo nella merda! Il signor Soros ha scoperto che stiamo per lanciare Femen Israel e ha bloccato i finanziamenti a Femen. Per favore, donate! Chiunque di voi può diventare il nostro nuovo Soros». George Soros è un finanziare statunitense che da decenni è tra i principali finanziatori e attori della politica occulta della Casa Bianca. Attraverso la sua fondazione Open Society è tra i principali promotori dell’esportazione della democrazia nel mondo. Dal dicembre 2013 Soros è stato un dei principali finanziatori e sponsor della rivolta di Maidan e del successivo governo ucraino.
Il trailer italiano del film “Ukraine is Not a Brothel”, della regista australiana di origini ucraine Kitty Green.
Femen a piazza San Giovanni contro Berlusconi.
Berlusconi contestato fuori dal suo seggio elettorale il 24 febbraio 2013.