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La foresta dell’Amazzonia non respira più per noi

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Giu 21, 2015
Deforestazione Amazzonia

 

Disboscamento e cambiamento climatico uccidono l’Amazzonia, che oggi assorbe meno emissioni di CO2

 

Deforestazione Amazzonia

 

 

La più grande foresta del mondo sta morendo. E ad ucciderla, mettendo a rischio la nostra stessa esistenza, sono i comportamenti dell’uomo. È questo il monito di oltre 100 scienziati internazionali che hanno pubblicato su Nature uno studio sul cambiamento climatico e lo stato di salute dell’Amazzonia. Secondo i ricercatori la mortalità degli alberi della foresta tropicale è aumentata negli ultimi 10 anni ad un ritmo preoccupante. Le cause, dicono, sono da individuarsi nel riscaldamento globale e nella conseguente siccità.

«La crescita della foresta è rimasta nulla negli ultimi dieci anni», ha detto Roel Brienen dell’Università di Leeds e uno dei principali autori dello studio. «Allo stesso tempo, l’intera foresta ha una durata vitale più breve: gli alberi crescono più in fretta e muoiono prima». Oltre all’insistere nell’abbattimento selvaggio per il legname di uso commercialea Brutte notizie davvero, visto che le emissioni di CO2 prodotte dagli esseri umani per la prima volta nella storia superano la capacità di assorbimento della foresta dell’Amazzonia.

C’è stato un momento in cui i ricercatori credevano che le emissioni derivate dalla combustione di combustibili fossili facessero addirittura crescere meglio le foreste tropicali. La convinzione derivava dalla simulazione computerizzata di alcuni modelli secondo cui l’anidride carbonica “antropica” fungeva da fertilizzante. Una tesi pericolosa, che avrebbe continuato a giustificare l’attuale modello di sviluppo. Ma sorpresa, le cose non stanno così e la continua produzione di gas serra delle nostre industrie produce l’effetto contrario.

 

Inquinamento atmosferico

Gli scienziati raccontano che l’Amazzonia in passato ha assorbito enormi quantità di anidride carbonica. Oggi però non è più così. Il ruolo delle piante nel compensare il riscaldamento globale, sottolineano, è messo in pericolo. Lo studio è il frutto dell’osservazione di 321 appezzamenti di foresta interessati da attività umane. Negli anni ’90 gli alberi assorbivano circa 2 miliardi di tonnellate. Dieci anni dopo, stimano gli esperti, si è passati a 1,4 miliardi di tonnellate, ovvero il 30% in meno.

 

La possibilità di correre ai ripari c’è ancora, stando alle previsioni dei ricercatori dell’Ipcc (Intergovernmental Panel on Climate Change) – il gruppo di scienziati Onu esperti di cambiamento climatico -. Ma bisogna agire in fretta e limitare le emissioni di CO2 nell’atmosfera terrestre, rispettando gli accordi internazionali presi al Cop20 a Lima (la conferenza mondiale sul clima). I più radicali insistono: servono massicci investimenti per la produzione di tecnologie che utilizzano fonti rinnovabili e una drastica interruzione dell’estrazione di risorse fossili.

Ma le lobby del carbone e del petrolio sono forti, come dimostra il caso delle nuove norme sulle emissioni europee. Al tavolo dei legislatori, infatti, siedono anche i negoziatori dell’industria sporca. Con queste premesse la strada sembra molto in salita.

di Massimo Lauria

 

 


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