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Contrasto tra l'innovazione creativa e il controllo rigido nel lavoro

Viviamo in un’epoca in cui l’industria e la finanza sembrano volerci convogliare in modelli di lavoro standardizzati, uniformi, che puntano a minimizzare i rischi e massimizzare i risultati “contabili”. Il problema, però, è che dietro a questa apparente organizzazione perfetta si cela una realtà ben più complessa e insidiosa: la negazione della creatività, dell’ingegno e del valore del lavoro umano. Un esempio evidente di questa tendenza è rappresentato dai modelli di gestione come l’AGILE e altri simili, che propongono pratiche che sembrano concepite per il “buon funzionamento” ma che, in realtà, non riescono a cogliere la vera essenza del lavoro creativo e innovativo.

L’illusione di controllo, che nasce dalla convinzione che ogni attività possa essere incasellata in procedure prestabilite, è una delle principali cause della stagnazione nell’innovazione. Modelli che puntano a strutturare in modo rigido il lavoro di sviluppo software, a creare cicli di sviluppo e feedback veloci, cercando di ottimizzare ogni fase del processo. Ma questo non tiene conto del fatto che la creazione di qualcosa di realmente nuovo, che possa fare la differenza, non può essere ridotto a una sequenza di passi prestabiliti. La creatività, l’intuizione, l’innovazione, sono fenomeni complessi, che non possono essere ridotti a buone o cattive pratiche preconfezionate.

Quando si parla di programmazione o di creazione di nuovi prodotti, non si sta parlando di una catena di montaggio. Eppure, spesso questi modelli, che sembrano volere emulare la precisione e la disciplina dei processi industriali, sono in realtà lontani dall’essenza di ciò che significa innovare. La verità è che l’industria e la finanza hanno sempre cercato di imporre un modello fordista anche nel campo della creatività, per poterlo controllare, ma così facendo si perde di vista l’elemento fondamentale: l’imprevedibilità che caratterizza l’ingegno umano.

Se guardiamo alla nostra storia industriale e culturale, l’Italia non è mai stata una potenza come la Germania nel senso di una grande industria solida, ma ha sempre innovato in modo diverso. Penso ai ragazzi di via Panisperna, quegli scienziati che, nel cuore di Roma, hanno dato le basi per l’energia nucleare, e che oggi, probabilmente, sarebbero imprigionati in modelli di gestione come quelli agili, guidati da figure che sanno parlare molto bene ma non hanno mai creato nulla di concreto con le loro mani. Un consulente con capacità comunicative straordinarie, ma senza esperienza diretta, può suggerire teorie, ma non è in grado di guidare davvero l’innovazione. E l’innovazione, quella vera, viene spesso da chi non segue i modelli preconfezionati, da chi rompe gli schemi e trova soluzioni fuori dal comune.

Da sinistra: Oscar D’Agostino, Emilio Segrè, Edoardo Amaldi, Franco Rasetti ed Enrico Fermi. Foto scattata da Bruno Pontecorvo

Il rischio è che questi modelli “miracolosi” che cercano di fare tabula rasa della cultura aziendale tradizionale e di ridurre il lavoro umano a una macchina di produttività, finiscano per schiacciare le capacità creative e imprenditoriali. Invece di guidare verso un’evoluzione autentica, questi modelli spingono verso un conformismo che non porta all’innovazione.

La prima reazione a catena controllata di fissione nucleare, ottenuta da Enrico Fermi il 2 dicembre 1942 in un laboratorio ricavato nella palestra dell’Università di Chicago.

Non possiamo permettere che un processo rigidamente strutturato prenda il sopravvento sulla naturale capacità dell’essere umano di creare, inventare e innovare. È come se, nel caso di Enrico Fermi e dei ragazzi di via Panisperna, avessimo cercato di imporre loro un protocollo rigido, un modello di lavoro standardizzato, senza permettere loro di esplorare liberamente e senza costrizioni. Forse, come suggeriva Philip K. Dick nel suo romanzo distopico “La svastica sul sole”, avremmo vissuto in un mondo completamente diverso, dove la creatività sarebbe stata schiacciata da un controllo che non comprendeva la natura umana.

Dobbiamo uscire da questi modelli che, pur dando risultati a breve termine, non favoriscono la vera innovazione. La vera sfida è quella di comprendere che, nel lavoro creativo, non tutto può essere misurato e controllato, e che l’innovazione nasce dalle menti che sono libere di pensare fuori dagli schemi, senza essere limitate dalla rigidità dei modelli gestionali moderni.

Bibliografia:

  1. Ford, H. (1922). My Life and Work. Garden City Publishing.
  2. Taylor, F. W. (1911). The Principles of Scientific Management. Harper & Brothers.
  3. Ries, E. (2011). The Lean Startup: How Today’s Entrepreneurs Use Continuous Innovation to Create Radically Successful Businesses. Crown Publishing Group.
  4. Highsmith, J. (2009). Agile Project Management: Creating Innovative Products. Addison-Wesley.
  5. Laloux, F. (2014). Reinventing Organizations: A Guide to Creating Organizations Inspired by the Next Stage of Human Consciousness. Nelson Parker.
  6. Dick, P. K. (1962). The Man in the High Castle. Putnam.
  7. Marcolongo, G. (2020). Creatività e Innovazione: Il Ruolo della Libertà nel Pensiero Creativo. Egea.
  8. Freeman, C., & Soete, L. (1997). The Economics of Industrial Innovation. MIT Press.

Igor Wolfango Schiaroli

Igor Wolfango Schiaroli

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