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Perché il nostro cervello si aggrappa agli inganni: una questione di connessioni neurologiche ed economia cognitiva

Igor Wolfango Schiaroli

DiIgor Wolfango Schiaroli

Apr 28, 2025

“La mente è come un paracadute: funziona solo se si apre.” – Albert Einstein

Tuttavia, nella pratica quotidiana, l’apertura mentale è un evento raro e faticoso. Se l’individuo moderno mostra una resistenza quasi istintiva al cambiamento di paradigma, questo non è solo il frutto di condizionamenti culturali o sociali, bensì di strutture neuroeconomiche profondamente radicate nel nostro cervello. Capire perché il nostro sistema nervoso ed economico interno protegge le illusioni è oggi fondamentale per interpretare sia la resilienza dei modelli sociali dominanti, sia le dinamiche della manipolazione collettiva.

Economia cognitiva: il principio dell’efficienza del pensiero

Nel nostro cervello, la verità non si impone per la sua evidenza. Piuttosto, si confronta con una macchina adattiva costruita per massimizzare l’efficienza e minimizzare il consumo energetico. Come affermava Herbert Simon nella sua teoria della “razionalità limitata”, gli esseri umani non cercano l’ottimo assoluto, ma un compromesso soddisfacente tra obiettivi e costi cognitivi.

Quando apprendiamo una nozione — una credenza, una “verità” — il cervello stabilisce connessioni sinaptiche tra gruppi di neuroni. Questo processo, noto come plasticità sinaptica, è dispendioso dal punto di vista energetico. Come spiegato dal neuroscienziato portoghese Antonio Damasio, “Il cervello umano è progettato per preservare l’omeostasi, anche a scapito della verità oggettiva.”

Damasio, in L’errore di Cartesio (1995), sostiene che le emozioni sono fondamentali per la ragione, contrariamente alla visione cartesiana del dualismo mente-corpo. Le emozioni, infatti, forniscono al cervello le sensazioni fisiche necessarie per il pensiero, dimostrando l’interconnessione tra corpo e mente. Questo concetto si integra con l’idea di plasticità sinaptica, ovvero la capacità del cervello di riorganizzare le connessioni neuronali in risposta a esperienze ed emozioni. La plasticità sinaptica consente al cervello di adattarsi e imparare, consolidando l’importanza delle emozioni nel processo cognitivo e nella formazione del pensiero.

Dunque, una volta che una connessione funziona sufficientemente bene per governare la realtà quotidiana, il cervello preferirà mantenerla, anche a costo di ignorare dati contraddittori.

Bias cognitivi e inerzia sistemica

In questa logica di ottimizzazione economica interna si inseriscono i bias cognitivi: distorsioni sistematiche nella percezione della realtà, documentate da studiosi come Daniel Kahneman e Amos Tversky. Il bias di conferma, ad esempio, porta a cercare solo informazioni che rafforzano le nostre convinzioni, ignorando tutto il resto.
Come notava Francis Bacon già nel XVII secolo: “L’uomo preferisce credere a ciò che preferisce sia vero.”

La riflessione di Bacon, già nel XVII secolo, si connette direttamente alle teorie moderne sui bias cognitivi, in particolare al Dunning-Kruger effect.  Il bias di conferma, ad esempio, porta le persone a cercare informazioni che confermino le loro convinzioni preesistenti, ignorando o minimizzando quelle che le contraddicono. Questa tendenza ad evitare dissonanze cognitive è radicata nel desiderio di mantenere una visione del mondo coerente e rassicurante.

Nel caso del Dunning-Kruger effect, le persone con competenze limitate in un dominio spesso sovrastimano la propria abilità, perché non sono consapevoli dei propri limiti e non percepiscono la complessità di ciò che non sanno. La convinzione di essere più competenti di quanto non siano è un altro esempio di come il cervello cerchi di mantenere una visione del sé e della realtà che si allinea con le proprie preferenze, ignorando segnali discordanti.

Più un’interpretazione viene ripetuta — sia individualmente sia a livello collettivo — più essa si cristallizza nella rete neuronale. Ciò spiega perché i dogmi culturali ed economici (come la fede cieca nel libero mercato o nell’autorità) persistono anche davanti all’evidenza della loro fallacia.

Realtà condivisa

Nel corso delle interazioni quotidiane, capita spesso di imbattersi in conversazioni che, almeno in apparenza, si sviluppano in un clima di apertura e disponibilità. Tuttavia, quante volte, durante un dialogo apparentemente libero, è accaduto che l’interlocutore, di fronte a un tema capace di mettere in discussione i presupposti della realtà condivisa, mutasse improvvisamente atteggiamento? Il tono si irrigidisce, la mente si chiude e, spesso inconsapevolmente, quella persona si trasforma in un difensore delle strutture consolidate.

Questo fenomeno non è casuale e trova fondamento in alcune dinamiche cognitive ampiamente studiate. In particolare, gli psicologi Daniel Kahneman e Amos Tversky hanno analizzato come i bias cognitivi – distorsioni sistematiche nel modo in cui interpretiamo la realtà – influenzino il nostro pensiero e le nostre decisioni, spesso a nostra insaputa. Le loro ricerche pionieristiche hanno evidenziato che la mente umana tende a favorire scorciatoie mentali (euristiche) per gestire la complessità, ma tali scorciatoie portano frequentemente a errori sistematici.

Un aspetto fondamentale per comprendere tali meccanismi riguarda la natura stessa del nostro cervello: perché il nostro pensiero si aggrappa agli inganni? La risposta risiede in una duplice causa. Da un lato, è una questione di connessioni neurologiche: le reti neurali consolidate tendono a rinforzarsi nel tempo, rendendo sempre più difficile modificare convinzioni preesistenti. Dall’altro lato, entra in gioco l’economia cognitiva: il cervello cerca costantemente di ridurre al minimo lo sforzo elaborativo, preferendo mantenere schemi interpretativi già noti piuttosto che affrontare l’onere di ristrutturare una visione del mondo complessa e instabile.

Quando un argomento intacca il quadro di riferimento abituale di una persona, entra in funzione un vero e proprio meccanismo di difesa cognitiva: l’informazione discordante non viene solo rigettata, ma porta, in modo controintuitivo, a un rafforzamento delle convinzioni pregresse. È in questo passaggio che il dialogo si irrigidisce e la conversazione perde la sua natura di autentico scambio.

Comprendere la forza di queste dinamiche neurologiche e cognitive è essenziale non solo per interpretare il comportamento umano, ma anche per promuovere forme di comunicazione più consapevoli, capaci di superare le barriere difensive e aprire spazi di reale confronto.

La resistenza al cambiamento: trauma neurologico ed economico

Tentare di smontare una credenza consolidata equivale, neurologicamente, a richiedere al cervello di ristrutturare il proprio sistema interno, una sorta di “default cognitivo”. Questo processo è costoso non solo sul piano energetico, ma anche su quello emotivo. Studi di neuroeconomia mostrano che il cervello reagisce a sfide cognitive destabilizzanti attivando le stesse aree legate alla gestione del dolore fisico e della paura, come l’amigdala e la corteccia cingolata anteriore.

Da un punto di vista più ampio, come suggerisce il filosofo americano Thomas Kuhn nella “Struttura delle rivoluzioni scientifiche”, “Una nuova verità scientifica non trionfa convincendo i suoi oppositori, ma perché i suoi oppositori alla fine muoiono e cresce una nuova generazione a cui essa è familiare.”

Thomas Samuel Kuhn (Cincinnati, 18 luglio 1922 – Cambridge, 17 giugno 1996)

Nel suo celebre La Struttura delle rivoluzioni scientifiche, Thomas Kuhn sfida la concezione tradizionale della scienza come un progresso lineare verso la verità. Secondo Kuhn, la scienza avanza invece attraverso rivoluzioni periodiche. Le teorie scientifiche, infatti, sono inserite in una rete complessa di interconnessioni che si fa via via più sottile, ma che si scontra spesso con fenomeni che non riesce a spiegare senza una trasformazione radicale. Kuhn esplora anche l’interazione tra la struttura concettuale della scienza e la realtà, nonché tra scienza e contesto sociale, mettendo in evidenza come siano le forze politiche e culturali a determinare cosa costituisce un problema e una sua «soluzione». Un concetto non del tutto nuovo, ma che Kuhn è stato il primo a esaminare in modo sistematico, rimanendo fedele a un’affermazione baconiana che apre il suo libro: «La verità emerge piuttosto dall’errore che dalla confusione».

Questa osservazione, se applicata non solo alla scienza ma anche alla società, rivela la profondità con cui le nostre economie cognitive e sociali sono resistenti al mutamento.

L’agente Smith come metafora sociale

Quante volte, durante un dialogo apparentemente libero, è accaduto che l’interlocutore, di fronte a un tema capace di mettere in discussione i presupposti della realtà condivisa, mutasse improvvisamente atteggiamento? Come già accennato, si osserva un irrigidimento del tono comunicativo accompagnato da un progressivo restringimento delle aperture cognitive; in molti casi, senza che l’individuo ne sia pienamente consapevole, egli finisce per assumere il ruolo di sostenitore implicito delle configurazioni istituzionali esistenti.
Non servono armi, non servono uniformi: il Sistema — come simboleggiato dall’”Agente Smith” in Matrix (Wachowski, 1999) — li ha addestrati fin dall’infanzia.
Indottrinati a proteggere l’illusione, pronti a respingere ogni minaccia alla stabilità interna. È così che la finzione sopravvive: non grazie ai padroni, ma grazie agli schiavi che la difendono.
Come scrisse George Orwell in 1984: “Chi controlla il passato controlla il futuro. Chi controlla il presente controlla il passato.”

Liberare la mente: un processo di compassione

Per questo motivo, chi prova a mostrare una “verità” alternativa viene spesso percepito come un nemico. Non basta presentare nuovi dati: bisogna agire sul terreno emozionale, creando un contesto sicuro che consenta al cervello di accettare il cambiamento come evoluzione e non come aggressione.

Cambiare idea, abbandonare un inganno, richiede uno sforzo immenso, economico e neurologico. È un processo che non può essere imposto: richiede tempo, fiducia e compassione.

Come ricorda Nietzsche in Al di là del bene e del male: “Convinzioni sono prigioni peggiori della più profonda cella.”
Liberarsi da esse è uno degli atti più rivoluzionari che l’uomo possa compiere.

Bibliografia

Sitografia


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