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Smartphone: Cosa Sacrifichiamo Senza Sapere Ciò Che Ci Nascondono?

Igor Wolfango Schiaroli

DiIgor Wolfango Schiaroli

Nov 29, 2024

Partiamo da una doverosa premessa: questa non è la sede per trattare i casi in cui uno smartphone viene spiato nel senso più stretto del termine, ossia situazioni in cui un hacker esperto tenta di violare la nostra privacy accedendo ai nostri dati personali. Il timore di subire un’intrusione del genere è molto diffuso, e non a caso le ricerche online su come individuare segnali di violazione sono tra le più frequenti. Quanti di noi, trovandosi con uno smartphone insolitamente lento, soggetto a cali di prestazioni o invaso da strani pop-up, non hanno pensato subito a un possibile attacco? Lo stesso sospetto può sorgere in presenza di rumori anomali durante le chiamate o di un’improvvisa riduzione delle prestazioni della batteria.

Preoccuparsi di questi segnali è giusto e razionale: tutti dovremmo conoscere i rischi legati a fenomeni come il phishing, lo spyware, lo sniffing, o la clonazione della SIM, ed è naturale agire per proteggersi. Tuttavia, esiste un’altra dimensione del problema, molto più subdola, che spesso passa inosservata: quella del controllo indiretto. Attraverso una vasta gamma di strumenti e tecniche, spesso implementati in modo legale o quasi, viene raccolta una quantità impressionante di dati personali per ascoltarci, studiarci e influenzare i nostri desideri.

Paradossalmente, non solo prestiamo scarsa attenzione a queste pratiche, ma molto spesso le favoriamo attivamente, diventando complici inconsapevoli di chi vuole accedere alle nostre informazioni. Questo è il terreno più insidioso: la manipolazione discreta, resa possibile dal nostro stesso consenso, spesso con un semplice clic su “Accetto” o “Ok”.

Active Listening: ascoltati o spiati?

Il tema è caldo e controverso. Se da un lato i regolamenti internazionali proibiscono l’ascolto delle conversazioni private, dall’altro è difficile ignorare la sensazione di essere “troppo ben compresi” dai nostri dispositivi. Quanti di noi non hanno mai notato pubblicità o contenuti che sembrano costruiti su misura, non solo in base alle ricerche online, ma persino in relazione a conversazioni avute vicino a uno smartphone apparentemente in stand-by? E questo non riguarda solo i telefoni: tablet, computer e persino smart TV sono ugualmente coinvolti.

Ma attenzione, non stiamo parlando di “Active Listening” nel senso virtuoso del termine, cioè l’arte di ascoltare attivamente e con empatia. Qui il focus è ben diverso.

Un’indagine pubblicata da 404 Media, autorevole testata americana specializzata in tecnologia e web, ha puntato i riflettori su Cox Media Group (CMG), un colosso del settore pubblicitario. Secondo l’inchiesta, CMG sarebbe stata in grado di offrire ai suoi clienti un targeting pubblicitario incredibilmente preciso, basato non solo su dati come età, sesso o posizione geografica, ma addirittura su informazioni raccolte direttamente dalle conversazioni degli utenti. Attraverso l’uso dell’intelligenza artificiale, CMG avrebbe sviluppato un sistema per ascoltare ciò che veniva detto nei pressi dei dispositivi dotati di microfono, al fine di identificare esigenze e desideri immediati dei consumatori e indirizzare loro pubblicità mirate.

A rendere la questione ancora più delicata è il coinvolgimento di grandi aziende tecnologiche. Secondo il report, colossi come Meta (Facebook), Google, Amazon e Bing figuravano come partner di CMG. Tuttavia, la risposta pubblica è stata un intreccio di smentite e precisazioni: Amazon ha negato qualsiasi collaborazione diretta con CMG, Meta ha dichiarato di aver avviato verifiche interne sui termini di servizio, e Google ha rimosso CMG dal suo programma di partnership.

CMG, da parte sua, ha respinto le accuse, affermando che il loro “Active Listening” non includeva l’accesso diretto ai microfoni degli utenti. Ma questa dichiarazione è sufficiente a chiudere la questione?

La realtà dietro le smentite

Il buon senso ci dice che il problema è tutt’altro che risolto. Anche se possiamo ipotizzare che i grandi nomi della tecnologia evitino pratiche così invasive per salvaguardare la loro reputazione (e i relativi profitti), il panorama diventa più oscuro quando si tratta di sviluppatori di app meno noti o di servizi esterni che potrebbero fare il “lavoro sporco” per terze parti.

La questione non è solo tecnica ma culturale: siamo disposti a sacrificare la nostra privacy in cambio di un’illusione di comodità? Le prove, dirette o indirette, ci spingono a una riflessione urgente, perché il confine tra ascoltare ed essere spiati si sta facendo sempre più sottile.

La legislazione e la realtà: quando il nonsense prevale. In Italia, per motivi legati alla legge sulla privacy, i telefoni non hanno la funzione di registrare le conversazioni telefoniche. Questo significa che se uno stalker ti sta molestando telefonicamente, non puoi semplicemente premere un bottone per registrare la chiamata. In molti altri paesi, questa funzione è facilmente accessibile su dispositivi Android, ma in Italia viene disabilitata per legge. Alcuni utenti, tuttavia, hanno aggirato il divieto dichiarando che il loro telefono proviene da un altro paese, dove la registrazione delle chiamate è legale. Ma attenzione: questa pratica è illegale. Il motivo per cui la registrazione delle chiamate è vietata in Italia non mi è del tutto chiaro, non essendo un esperto legale, ma trovo grottesco che sia impossibile proteggersi da un malfattore che ci perseguita telefonicamente, mentre altri possono farlo senza problemi.

“Se non paghi un prodotto, il prodotto sei tu”

Quante volte abbiamo sentito questa frase? Eppure, riflettere davvero sul suo significato può farci vedere sotto una nuova luce il nostro rapporto con la tecnologia e, soprattutto, con le app e i servizi gratuiti che utilizziamo ogni giorno.

Ogni volta che scarichiamo un’app, ci viene richiesto di concedere autorizzazioni per accedere a dati e sensori necessari al suo funzionamento. Un utente accorto avrà notato che, talvolta, il numero di permessi richiesti sembra esagerato rispetto alle funzionalità dell’app stessa. Questo vale anche per i servizi online. Autorizzare senza pensarci troppo espone i nostri dati a potenziali rischi, un problema aggravato dalla frequenza con cui ripetiamo questa operazione.

Oggi, le versioni più recenti di iOS e Android includono impostazioni avanzate per la gestione della privacy, consentendo di aggiungere o revocare le autorizzazioni già concesse. Entrambi i sistemi operativi offrono anche strumenti visibili, come un pallino colorato, per segnalare l’uso in tempo reale di microfono e telecamera. Ma quanto ci fermiamo a considerare queste funzionalità?

Chi paga davvero?

Prendiamoci un momento per riflettere. Quante applicazioni gratuite abbiamo installato sui nostri dispositivi? E, soprattutto, chi finanzia i costi enormi di sviluppo e gestione di piattaforme come Facebook, Spotify, Google e molte altre? La risposta è semplice: siamo noi. Non paghiamo con il denaro, ma con i nostri dati. Questi giganti del digitale basano gran parte dei loro profitti sulla raccolta e rivendita delle nostre informazioni personali. È legale, perché noi utenti abbiamo dato il consenso.

Ogni volta che accettiamo cookie o approviamo una richiesta di accesso ai nostri dati personali, concediamo di fatto una fetta della nostra privacy. Ma cosa sono esattamente i cookie? Si tratta di piccoli file memorizzati dai siti web sul nostro dispositivo. Servono a registrare informazioni utili, come il contenuto di un carrello in un e-commerce o le preferenze di navigazione. Tuttavia, possono anche essere utilizzati per raccogliere e condividere dati, contribuendo alla creazione di un profilo dettagliato su di noi, che include abitudini, desideri e bisogni, reali o potenziali.

Non mi importa, tanto non ho nulla da nascondere.

Spesso sentiamo dire frasi come “Non mi importa, tanto non ho nulla da nascondere.” Questa affermazione, però, è un boomerang. Da un lato, è evidente che chi ha qualcosa di serio da nascondere non lo ammetterà mai e vorrà sembrare trasparente. Ma dall’altro, dobbiamo capire che ogni essere umano, se è libero e felice, avrà per sua natura qualcosa da proteggere. Si tratta della nostra intimità, che ci rende unici e umani. Quindi, quando facciamo queste affermazioni, siamo poco consapevoli. Non abbiamo idea di cosa si possa fare con le nostre informazioni e pensiamo di essere immuni. Riflettiamo solo su questo: tante persone sono morte a causa dell’amianto in un periodo in cui non sapevamo che i tetti in amianto che usavamo per coprire gli edifici fossero così pericolosi. Cosa avremmo detto allora? Sicuramente, non avremmo pensato “Non ho nulla contro l’amianto, visto che ora sto bene, quindi non farà male.”

La pubblicità mirata: sorpresa o inevitabilità?

Non dovrebbe più sorprenderci ricevere pubblicità estremamente personalizzate. Ogni dato che forniamo, consapevolmente o meno, viene utilizzato per affinare i meccanismi di profilazione. Siamo tracciati, analizzati e categorizzati in modi che spesso nemmeno immaginiamo. E tutto questo avviene con il nostro consenso, quel clic frettoloso su “Accetta” che ormai abbiamo smesso di leggere e contare.

Fermarsi a riflettere, adottare un approccio più consapevole e sfruttare le opzioni di gestione della privacy che abbiamo a disposizione non eliminerà del tutto il problema, ma ci permetterà di avere almeno un maggior controllo sulle nostre informazioni personali. Perché, alla fine, la nostra privacy è un bene prezioso, e vale la pena proteggerlo.

Realtà o paranoia?

La linea tra legittimi dubbi e psicosi persecutoria è sottile. Diversi studi dimostrano che la percezione di essere costantemente ascoltati è diffusa. Un’indagine condotta da Ipsos Mori su un campione di 20.000 persone in 20 paesi ha rivelato che il 62% degli intervistati crede che gli smartphone ascoltino le conversazioni anche quando non sono attivamente in uso.

Se fosse solo una psicosi collettiva, sarebbe comunque un dato degno di analisi. Tuttavia, questa convinzione di massa non può essere liquidata con superficialità. Certo, la registrazione e l’uso di conversazioni ambientali senza consenso sono illegali, e finora non sono emerse prove schiaccianti di un ascolto sistematico da parte delle grandi aziende. Ma qualche dubbio è più che lecito, soprattutto in un contesto in cui il confine tra ciò che è tecnicamente possibile e ciò che è eticamente accettabile diventa sempre più labile.

Siamo certi di conoscere davvero cosa accade dietro le quinte dei dispositivi che utilizziamo ogni giorno? Forse il primo passo è proprio quello di non sottovalutare i segnali, ma nemmeno di cedere a paure infondate. L’equilibrio tra consapevolezza e realismo è la chiave per affrontare un mondo digitale sempre più invasivo.

Intelligenza Artificiale: Quando la Fantascienza Diventa Realtà

Viviamo in un’epoca in cui la velocità di evoluzione tecnologica è talmente rapida che, spesso, fatichiamo a stare al passo. Questo è particolarmente evidente quando si parla di intelligenza artificiale (IA), un campo che, un tempo relegato alla fantascienza, è ormai una realtà tangibile. Ogni mese, i progressi nell’IA sembrano superare i confini di ciò che immaginavamo possibile. Ma questa velocità non dovrebbe solo entusiasmarci; deve anche metterci in guardia.

Non possiamo ignorare che, accanto ai potenziali benefici dell’intelligenza artificiale in settori cruciali come la medicina, esistono rischi significativi. La domanda che ci dobbiamo porre è: sapremo riconoscere cosa è vero e cosa non lo è? E, forse ancora più importante, chi avrà accesso a questi strumenti così potenti? La velocità con cui l’IA raccoglie, analizza e applica i dati ci pone di fronte a un interrogativo fondamentale: a chi sarà concesso il controllo di queste capacità, e a quale scopo?

Il potere derivante dall’uso delle tecnologie avanzate sta diventando sempre più concreto e pervasivo. Prendiamo ad esempio la profilazione dei dati: in passato, le informazioni che condividevamo online venivano utilizzate principalmente per vendere pubblicità mirata. Oggi, grazie all’intelligenza artificiale, possiamo non solo raccogliere questi dati in tempo reale, ma utilizzarli per predire le nostre necessità, addirittura prima che noi stessi le riconosciamo.

Ciò che è ancora più inquietante è il potenziale di queste tecnologie nel prevedere i nostri desideri futuri. È possibile che, in un prossimo futuro, qualcuno conosca le nostre necessità più intime meglio di quanto noi stessi le comprendiamo. E questo non riguarda solo l’ambito commerciale. Se oggi siamo sorpresi dalla precisione delle pubblicità che ci vengono proposte, domani potrebbe sorprenderci ancora di più scoprire quanto qualcuno abbia già previsto i nostri bisogni prima che li percepissimo.

Con l’avanzare dell’IA, il controllo sui nostri dati sta acquisendo una nuova dimensione. Se non saremo in grado di comprendere appieno le implicazioni di queste tecnologie, rischiamo di trovarci a vivere in un mondo dove il nostro comportamento, le nostre decisioni, e perfino le nostre emozioni sono modellate da un’intelligenza che abbiamo creato, ma che sappiamo a malapena gestire.

 

Il Microfono: Il Telefono Mi Ascolta? Certo, e non solo quando lo usi

I dispositivi dotati di microfono sono progettati per ascoltare. È per questo che le grandi aziende tecnologiche, come Google e Apple, impongono rigide condizioni contrattuali riguardo alla privacy, specificando chiaramente come e quando i dispositivi possono raccogliere audio. Da un lato, ci sono le politiche aziendali e i limiti legali che regolano la raccolta e l’uso delle informazioni, dall’altro c’è la realtà tecnica, che permette effettivamente la cattura delle conversazioni, anche quando non ce ne rendiamo conto.

Dr Peter Hannay as Senior Security Consultant

Gli assistenti vocali, come quelli presenti su dispositivi Android e Apple, sono sempre in ascolto, pronti a rispondere ai comandi vocali. È stato dato il consenso, sia consapevolmente che inconsapevolmente, e questo è alla base del funzionamento di questi strumenti. Tuttavia, la questione si complica quando non si tratta di assistenti vocali, ma di altre applicazioni. Secondo il dottor Peter Hannay, consulente senior in sicurezza informatica presso Asterisk, alcune app, come Facebook, “a volte inviano frammenti di audio ai server, ma non esiste una comprensione chiara dei trigger che attivano questa azione” (Vice.com, 4 giugno 2018).

Le app potrebbero avere migliaia di trigger, rendendo difficile per l’utente avere una chiara comprensione di quando e come viene catturato il suo audio. Un esempio inquietante emerge da uno studio del 2018 condotto dalla Northeastern University, che ha analizzato molte app Android. Lo studio ha rivelato che alcune delle app più popolari non solo raccoglievano dati audio, ma addirittura acquisivano screenshot o brevi video delle attività sul dispositivo e li inviavano a terze parti. Questo è particolarmente preoccupante, poiché questi screenshot potrebbero includere dati sensibili come nomi utente, password o numeri di carte di credito.

David Choffnes – Khoury College of Computer Sciences

Il professor David Choffnes, uno dei supervisori dello studio, ha sottolineato che alcune app avevano la capacità di registrare lo schermo e persino di registrare le informazioni che venivano digitate, inclusi i caratteri delle password prima che venissero mascherati. Questo studio, nato con l’intento di verificare se gli smartphone registrassero le conversazioni e le rivendessero per fini pubblicitari, ha analizzato oltre 17.000 app per Android. Sebbene non sia stata trovata alcuna prova di registrazioni audio inaspettate, i ricercatori hanno scoperto un aspetto ancora più preoccupante: molte app erano in grado di acquisire screenshot senza alcuna notifica o consenso da parte degli utenti. Più di 9.000 app su 17.000 analizzate avevano questa capacità.

Un caso emblematico è quello dell’app GoPuff, un servizio di consegna di cibo. L’app registrava e inviava screenshot delle attività dello schermo agli analisti di Appsee, senza che gli utenti fossero informati. Sebbene le aziende giustifichino queste pratiche come necessarie per il debug delle app e il miglioramento dell’esperienza utente, questo rappresenta un enorme rischio per la privacy. La vulnerabilità aperta da queste pratiche potrebbe consentire ad aziende malintenzionate di raccogliere informazioni personali sensibili.

Apple, da parte sua, ammette di conservare porzioni delle conversazioni vocali sotto forma di trascrizioni anonime per migliorare il servizio di assistenza, ma limita l’accesso a questi dati (ad esempio, solo lo 0,2% delle registrazioni vengono utilizzate a tale scopo). La promozione della privacy da parte delle aziende è un elemento in cui spesso riponiamo la nostra fiducia, ma in un contesto in cui milioni di app utilizzano la tecnologia di riconoscimento vocale, la privacy non è mai garantita.

Quando si tratta di ascolto e registrazione, non è necessario temere complotti sofisticati o intercettazioni mirate. In molti casi, le tecnologie che ci permettono di interagire con i nostri dispositivi sono semplicemente strumenti di routine che, se gestiti in modo poco etico da aziende poco scrupolose, possono facilmente violare la nostra privacy. Spesso, accettiamo queste condizioni senza nemmeno rendersene conto, ma la nostra stessa interazione con la tecnologia quotidiana espone i dati sensibili che dovrebbero rimanere privati.

Conclusioni

In conclusione, ci troviamo ormai immersi in un panorama digitale dove la sorveglianza è diventata la norma, e non l’eccezione. Ogni nostro passo online, ogni interazione, viene osservato, registrato e analizzato, spesso senza che ce ne rendiamo conto. Le tecnologie che ci offrono comodità e servizi personalizzati sono anche quelle che, sotto la superficie, manipolano e indirizzano le nostre scelte. Se non interveniamo, se non prendiamo consapevolezza di quanto stia accadendo e non cerchiamo di riprenderci il controllo dei nostri dati, rischiamo di diventare come marionette, guidati da fili invisibili che ci muovono a loro piacimento. La nostra libertà, così come la nostra privacy, non è più garantita, ma dipende dalle scelte che facciamo oggi. Se non reagiamo, domani potremmo trovarci a vivere in un mondo dove parliamo, agiamo e pensiamo solo quando qualcun altro decide di tirare i fili.


Igor Wolfango Schiaroli

Igor Wolfango Schiaroli

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