Chiunque tenti di raccontare quanto siano violente certe frange dell’opposizione al governo Maduro lo fa a rischio della vita. I reporter minacciati, feriti o uccisi sono sempre di più. E spuntano documenti e testimonianze di come ci sia lo zampino di Washington (e della Spagna) dietro la protesta…
di FRANCO FRACASSI
Il video prodotto dal canale venezuelano TeleSur denuncia la violenza di alcuni gruppi di manifestanti anti governativi contro i giornalisti che tentano di raccontare la natura della protesta, non limitandosi a replicare la narrativa ufficiale che domina i principali media mondiali.
L’ultimo caso è stato quello della reporter della tv venezuelana TeleSur Adriana Sivori. Un manifestante governativo le ha sparato alla schiena. La giornalista è sopravvissuta grazie al giubotto antiproiettile che indossava. «Stavo cercando di raccontare agli spettatori come una parte della protesta di piazza sia molto violenta, anche nei confronti dei reporter. Tirano molotov, usano spranghe di ferro, mazze da baseball e tira pugni, sparano con pistole e fucili. Indipendentemente dalle rafioni della protesta, non dovrebbe essere questo un modo di manifestare civile. Un atteggiamento del genere porta solo alla guerra civile», ha dichiarato la Sivori.
A diapetto di quanto raccontato dai media internazionali, la maggior parte delle vittime da quando è partita quest’ultima (terza dal 2002) ondata di protesta sono state causate dai dimostranti antigovernativi e non dalla repressione della polizia.
La protesta delle opposizioni al presidente Maduro parte da lontano. Documenti che risalgono al 2010 dimostrano come già da allora ci si stesse preparando per abbattere il governo chavista. La fondazione spagnola Fride Institute ha ricevuto dal maggio 2010 cinquanta milioni di dollari l’anno per organizzare la protesta in Venezuela. I soldi sono arrivati dal National Endowment for Democracy (Ned), una struttura governativa statunitense, finanziata dal Congresso di Washington e supportata dal Dipertimento di Stato Usa.
Parte del denaro è finito nelle casse dei partiti di destra Primero Justicia (Prima la giustizia), Un Nuevo Tiempo (Un tempo nuovo) e Copei (il partito iltra conservatore cristiano-democrtatico), oltre che a diverse organizzazioni non governative, a collettivi studenteschi e giornali e tv venezuelani.
«Abbiamo corrotto tutti quelli che potevamo. La parola d’ordine era una sola: liberarci dei chavisti con ogni mezzo. Mi sembra che fino ad ora sia stato fatto un buon lavoro in questo senso», ha dichiarato al “Jornal do Brasil” un membro del Fride Institute che ha chiesto l’anonimato.