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APPUNTI SULL’11 SETTEMBRE DI GIULIETTO CHIESA. Esclusivo punto di vista

Giulietto Chiesa: Scrivo questi appunti per continuare la riflessione sul cosiddetto complottismo, materia tanto infinita quanto fondata su diversi “equivoci” semantici. La maggioranza dei quali non è certo innocente.

Basti, in proposito, una semplice notazione: complottismo, complottista è un insulto. Lo è diventato dopo l’11 settembre. Il vocabolario è stato cambiato. È ormai un’arma e, insieme, un bavaglio. È un inganno, il cui obiettivo è deviare, dirottare l’attenzione di chi ascolta: da un tema (il merito di ciò che si dice) a un altro (la persona che pronuncia un giudizio, la sua biografia, la sua salute fisica, la sua razza).

Chi usa questi termini o lo fa per un riflesso condizionato (letteralmente, pavlovianamente), oppure con lo scopo precipuo di impedire (addirittura di impedirsi) la discussione. E con lo scopo derivato di denigrare sia i semplici portatori del dubbio, sia coloro che sono giunti alla scoperta delle vere e proprie, dimostrabili falsità della versione ufficiale.

Ma torno sull’argomento per rivolgermi ai molti – moltissimi ormai, milioni di persone in tutto il mondo – che non cessano di arrovellarsi non solo attorno all’insanabile contraddizione tra la versione ufficiale di ciò che accadde l’11 settembre 2001 e i fatti accertabili e accertati, ma anche alla pratica impossibilità di una serena discussione tra diverse ipotesi e tesi. Discussione impossibile poiché una delle due tesi (quella ufficiale) è l’unica considerata ammissibile da chi controlla l’informazione di massa, mentre tutte le altre sono squalificate prima ancora che esse possano essere discusse. A tal punto che, con un sospetto unanimismo mondiale, le tesi che criticano e respingono la versione ufficiale, vengono semplicemente cancellate, ignorate e, quando esse riescono fortunosamente a emergere, irrise.

Quelli, come me, che se ne sono occupati a fondo, sanno, ormai da tempo, come sono andate le cose. Per meglio dire: sanno, con completa e dimostrabile certezza, che le cose non andarono affatto come ci fu raccontato dal governo americano e dai media mainstream all’unanimità. Sanno anche che la quasi totalità del pubblico occidentale crede tuttora a quella completa falsificazione, riassunta per esempio nella credenza che le torri cadute in quella giornata furono due, e non tre.

Aumenta il numero degli scettici, questo è vero. Ma aumenta anche il tempo trascorso, che ormai fa sì che la nuova generazione non solo non sa nulla di quella questione e disputa, ma nemmeno conosce che essa sia mai esistita.

Dunque, dobbiamo essere realisti: continuare a spaccare il capello in quattro, cercare nuovi argomenti, nuove prove fattuali della falsità della versione ufficiale (il “9/11 Commission Report), è ormai tempo perduto.

Significa questo che abbiamo perduto tempo? Niente affatto, io penso. Il lavoro svolto è stato prezioso. Per esempio il film “Zero” rappresenta un vero e proprio esperimento politico di lotta contro le manipolazioni del potere. Il grande affresco — in realtà una vera e propria enciclopedia cinematografica dell’11 settembre — realizzato da Massimo Mazzucco; i molti lavori analitico- documentali di David Ray Griffin; quello di Wabster Tarpley; la ricerca collettiva del Panel di Consensus911. org; la straordinaria abnegazione di Richard Gage, con il suo “Architects and Engineers for 9/11 Truth”, e potrei continuare a lungo questo elenco, resteranno nella storia politica del XXI secolo come prove della resistenza degli uomini liberi di fronte agl’inganni del Potere. Tutti costoro, e molti altri, sparsi in molti Paesi, hanno svolto un gigantesco lavoro di ricostruzione collettiva che ha impedito il seppellimento definitivo della verità. Sarebbe sbagliato e ingiusto sottovalutare l’enorme ruolo di educazione che essi hanno svolto nell’interesse generale andando contro la corrente del pensiero comune.

https://indywrep.com/prodotto/one-inchiesta-sui-misteri-di-al-qaeda-documentario-film/
Il film Sequel di Zero – Investigation on 9/11

E tuttavia io penso che sia ora necessario modificare il bersaglio e aggiustare la mira. In che senso? Concentrando tutti i nostri sforzi per dimostrare l’attualità dell’11 settembre. Cioè, per far comprendere all’opinione pubblica internazionale che lo stato delle cose presente è una diretta conseguenza di quell’evento. Non saremmo nei guai attuali, non staremmo scivolando verso la guerra mondiale, se non vi fosse stato l’11 settembre. Anzi, l’aggravamento del quadro è un risultato diretto di quella tragedia: era ciò che si proponevano coloro che la “inventarono” e che la realizzarono.

In altri termini: si tratta di dare una risposta politica — non soltanto analitica, storica, scientifica —alla “guerra infinita” che gli autori dell’11 settembre dichiararono e continuano a dichiarare all’umanità intera.

Per quanto concerne le difficoltà che abbiamo incontrato in questi anni nello spiegare l’ovvio al colto e all’inclita, mi sono imbattuto recentemente in un’acutissima riflessione di Gregory Bateson (“Verso un’ecologia della mente”, Adelphi 1977, pagine 468-469). Riflessione che qui proporrò e che si associa allo “strano” (allora così mi parve) agnosticismo in materia di uno straordinario protagonista della cultura moderna come Noam Chomsky.

Il quale decise di “non occuparsi dell’11 settembre”. Pensai, e penso, che avesse torto. E, infatti, aveva torto. Come ebbero torto tutti coloro, a sinistra, che rifiutarono di capire che l’11 settembre non era un caso, un incidente di percorso, un evento marginale della storia, ma era, al contrario, una decisione fredda per imporre una svolta radicale ai destini del mondo. Non avere capito (o avere avuto timore di capire) il carattere nuovo, epocale, di quanto stava accadendo, disarmò le possibilità di risposta delle masse popolari dell’Occidente.

Tutte le sinistre europee portano la maggiore responsabili- tà della mancata risposta a quella dichiarazione di guerra. Non è una questione di tradimento, come qualcuno dice. È più importante e più grave del tradimento. È il fatto che tutte le sinistre, senza eccezione alcuna, si presentarono a questa svolta della storia del tutto disarmate. Mancava loro un criterio interpretativo adeguato. Non videro la crisi. Non compresero che si trattava di una crisi senza precedenti. Non si resero conto che stava cominciando la fine della società dell’abbondanza e che la crescita infinita — quella in cui i padroni dell’Universo avevano creduto e, adorandola, avevano trascinato immense masse di popolo — era finita. E, con essa, la possibilità di conservare il tenore di vita della gente, la pace, la democrazia. Credettero che fosse una delle tante crisi del capitalismo, invece era l’inizio della fine del capitalismo. Del resto non avevano nemmeno capito che il capitalismo non era già più quello che avevano letto nei manuali del marxismo, e dunque non avevano nemmeno visto la finanziarizzazione dell’economia. Non si erano resi conto che il povero, immenso Carlo Marx non poteva avere anticipato la “rivincita della natura” sull’economia. Lui aveva soltanto costruito la “critica” dell’economia politica. Ma, per fare l’ottimo lavoro che fece, eliminò la Natura dal suo schema interpretativo. Che, infatti, durò fino a che la Natura entrò con la sua forza dirompente e impietosa al centro della scena.

Armati di una teoria che non corrispondeva più alla realtà, sottovalutarono la ferocia con cui i padroni universali si accingevano a sottomettere il mondo intero, a dispetto della stessa Natura. Non compresero l’impazzimento del sistema. I padroni universali furono più realisti dei loro teorici nemici. Non avere compreso tutto questo ha portato alla fine delle sinistre. Fine, dunque, meritata. Ma la sconfitta di coloro che storicamente erano gli unici ad avere ancora la forza e l’esperienza per organizzare una resistenza, fu fatale per tutti. La ritirata si trasformò in rotta rovinosa, una rotta che continua ancora oggi. Il grande movimento per la pace che si era sviluppato nel 2002, in coincidenza con la volontà americana di invadere l’Iraq, dopo l’invasione dell’Afghanistan, non poté produrre una inversione di tendenza, e nemmeno un’azione di freno, proprio perché non fu sostenuto da una comprensione della portata di quella svolta. Non era un’ennesima guerra. Era l’inizio di una resa dei conti globale, che doveva cambiare tutti i rapporti di forza. Non era un episodio, era l’inizio di una guerra a tutto campo contro il “resto del mondo” e contro le classi subalterne dell’Occidente, che sarebbe durata — come disse lo stesso George Bush Jr — “una intera generazione”.

Come risultato il movimento per la pace si esaurì pratica- mente dovunque e ora, anni dopo, praticamente non esiste più. Mentre l’offensiva globale dei padroni universali e dei loro maggiordomi continua a tutto campo. Dopo la cosiddetta “primavera araba”, l’opera di demolizione di ogni resistenza al nuovo sistema autoritario planetario ha proceduto a tappe forzate con la demolizione della Libia, con la guerra contro lo Yemen, con l’attacco diretto alla Russia in Ucraina, con l’impressionante estensione della Nato e il suo accerchiamento della Russia, fino alla liquidazione di un Paese cruciale per l’equilibrio dell’intero Medio Oriente, come la Siria.

Tornando a Noam Chomsky, e alla sua strana e triste decisione di non occuparsene, in essa c’era un grano di sale. Unico ma realistico. Egli pensò forse che, comunque fossero andate le cose, sarebbe stato impossibile venirne a capo. Per lo meno nel senso che il “golpe planetario” era andato a segno e scoprirne i segreti era comunque una consolazione tardiva. Chomsky commise l’incredibile errore (incredibile per il suo genio) di sottovalutare la follia di una élite senza prospettive, impazzita di fronte alla fine del suo mondo e disposta a tutto pur di riaffermarlo. Fece uso del politically correct per spiegare la demenza senile dell’Impero. Ma nessuno meglio di lui poteva sapere che lo squilibrio delle forze a nostro svantaggio era ormai, a quel punto, incolmabile. In ogni caso, ogni sforzo sarebbe diventato utile e fruttuoso solo oltre il tempo breve — se vi sarà un “oltre” — in cui si consumerà la crisi epocale del nostro mondo e dell’ecosistema in cui è inscritto anche l’11 settembre.

Chi ha seguito fin qui il mio ragionamento avrà capito che anch’io, a questo punto, penso che la crisi, ogni giorno che passa, diventi sempre più insuperabile. Per lo meno in termini pacifici. Dubito che sia superabile anche con una guerra, che si annuncia catastrofica oltre, ben oltre, ognuna delle due guerre mondiali che l’umanità ha superato, e anche di tutte e due messe insieme. Il fatto è che ormai i molti sono dominati dai pochi, e lo sono soprattutto perché credono di essere liberi mentre sono prigionieri dentro Matrix. E Matrix è la più ingannevole delle prigioni, perché induce a pensare chi ci abita di essere in un Paradiso. Mentre sta diventando, oltre una prigione, anche un inferno. Quello che scrisse Gregory Bateson, che qui ripropongo, ha anch’esso a vedere con la sopravvivenza della specie, come quella della pace e della guerra.

«Qualcuno può trovare molto difficile – scrive Bateson – vedere ciò che è ovvio. Questo accade perché le persone sono sistemi autocorrettivi: essi sono autocorrettivi nei confronti di ciò che disturba, e se la cosa ovvia non è di un genere che essi possono facilmente assimilare senza fastidio interiore, i loro meccanismi autocorrettivi si attiveranno per metterla da parte, per nasconderla, addirittura fino al punto di far loro chiudere gli occhi, se necessario».

È esattamente quello che succede alla maggioranza. Gli autori dell’11 settembre lo sapevano, la cultura della sinistra non c’era mai arrivata. Neanche a capire che questo è un trucco universale e che l’11 settembre altro non era che la realizzazione più compiuta, perfetta si potrebbe dire, di quel trucco.

Così tutti ci cascarono, quasi tutti. Ma, tra quelli che ci cascarono, ci fu anche Chomsky, anche Umberto Eco. Paradossale, non è vero? Due luminari che, meglio di quasi tutti, avevano studiato e compreso il potere dei media. Figuriamoci le sinistre. Figuriamoci gli altri. Hanno reagito come avrebbero reagito i dinosauri, se fossero stati intelligenti. Ma non lo erano e, in ogni caso, furono spazzati via. Nessuno vede, nessuno sente ciò che non ama vedere e sentire. Ma ciò che sta per arrivare non si ferma per questo.

Giulietto Chiesa


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