La Blockchain è la tecnologie emergente considerata dagli analisti e sorprendentemente anche dalla dirigence politica europea, la più promettente per affrontare le sfide di cambiamento che sono richieste, in questo 21 esimo secolo, che fra guerre, disastri ambientali, pandemie, crisi economiche globali e mutazioni climatiche sta mandando chiari segnali che la rotta va cambiata al più presto.
A darci un quadro sul livello di comprensione e implementazione delle nuove tecnologie nella risoluzione di alcune di queste problematiche e della spinta innovatrice nel nostro presente e prossimo futuro è il EY-Qiibee Blockchain Survey, un sondaggio effettuato su più di 100 C-level di aziende e pubbliche amministrazioni, per valutare la percezione dei manager in merito alle principali tecnologie ed, in particolare, alla blockchain.
I risultati non lasciano ben sperare visto che il basso livello di conoscenza, la scarsa cultura aziendale sulle implementazioni tecnologiche possibili forse spesso esasperata da mille dubbi riguardo privacy e regolamentazione, fanno si che la maggior parte delle realtà indagate presentino una rigidità di adattamento che può essere molto pericolosa, in tempi mutevoli come quelli che stiamo vivendo.
Nel sondaggio condotto si chiedeva ai top manager di assegnare un valore in una scala da 0 a 100 alla propria conoscenza della blockchain e di altre tecnologie. Secondo lo studio, presentato nel corso della tappa a Roma dell’EY Blockchain Summit, le tecnologie più note sono l’intelligenza artificiale, il 5G e l’IoT(Internet of Things), che però rimangono ancora su un valore intermedio (rispettivamente 53, 52 e 51 su 100). La blockchain si piazza nel mezzo con un valore di 48 su 100.
Giuseppe Perrone, EY EMEIA Blockchain Leader a margine dell’evento dichiara: “ La tecnologia blockchain può avere un grande valore per il business delle aziende e per l’evoluzione di servizi della PA, ma per sfruttare concretamente questo valore è necessario lavorare sullo sviluppo delle competenze, sulla regolamentazione del settore e sulla capacità d’innovazione dei casi d’uso specifici. Per abilitare una fattibile trasformazione digitale delle aziende, dunque, bisogna usare le soluzioni tecnologiche come leve in modo che facciano da volano per la creazione di un’economia basata sulla trasparenza, l’interoperabilità e l’efficienza. Caratteristiche tipiche che la blockchain è in grado di garantire”.
Paul Brody, Global Blockchain Leader guarda al futuro: “In EY siamo convinti che la blockchain farà per le reti di imprese e gli ecosistemi aziendali ciò che gli ERP hanno fatto per la singola impresa in passato. Usare la blockchain per migliorare la gestione della supply chain non solo garantisce parità di condizioni per tutte le aziende, ma significa anche poter fornire informazioni di maggiore qualità permettendo di prendere decisioni migliori. Oggi siamo sul punto di estendere l’utilizzo delle soluzioni di blockchain in azienda oltre la semplice tracciabilità fino alle operazioni vere e proprie, con una grande attenzione alla gestione della supply chain e alla digitalizzazione delle relazioni di business. Riteniamo che entro il 2030 quasi la metà di tutti i nuovi accordi commerciali sarà stipulata tra le aziende su blockchain pubbliche”
Decisamente più sconosciute, invece, la realtà virtuale e aumentata (34 su 100) e il quantum computing (29 su 100).
Da qui la necessità di investimenti in competenze e formazione per cogliere le occasioni (specialmente per PMI e Startup) che un utilizzo mirato e consapevole delle nuove tecnologie può offrire.
Tuttavia la blockchain è tra le tre tecnologie ritenute con più alto impatto sul business da chi la conosce: il 57% vorrebbe implementarla in azienda, mentre l’89% di chi pianifica l’implementazione di nuove soluzioni tecnologiche investe anche in strumenti formativi, a sostegno delle competenze necessarie.
Ancora una volta ad ostacolare l’adozione di questa tecnologia sono il timore di problemi di privacy e sicurezza, ma anche la mancanza di cultura e conoscenza di questa soluzione, la rigidità di adattamento, l’interoperabilità e come sempre una regolamentazione ancora poco chiara e precisa che più che definire perimetri e opportunità disorienta. Inoltre è da notare che nei paesi europei, e in Italia in maniera ancora più forte, la propensione al rischio è molto bassa, quindi si aspetta che una tecnologia sia già matura prima di adottarla, un comportamento conservativo che previene le imprese da investimenti sbagliati ma che preclude molte possibilità di crescita, soprattutto considerando che alcune nuove proposte nell’ambito della blockchain richiedono investimenti pressoche simbolici per poter essere operativi.
Dal survey di Ey emergono le moltissime applicazioni che può avere la blockchain, per quanto se ne conoscano e applichino ancora solo una minima parte.
Le più note, tra i top manager, sono principalmente la tracciabilità (per il 24% dei rispondenti) e la token economy (18%).
L’utilizzo di smart contract per l’automazione dei processi (15%), l’implementazione di processi blockchain-based per la loyalty (14%), la creazione di Non-Fungible Tokens meglio noti come NFT (13%) e l’adozione di paradigmi di identità digitali basati sulla Self Sovereign Identity (11%).
Grandissima importanza nei meccanismi legati ai guadagni dei giganti del Web è proprio quest’ultimo concetto la Self Sovereign Identity (SSI): Essere “sovrani” della nostra identità, controllando e scegliendo quali informazioni personali condividere e con chi, è una prospettiva di identità digitale ideale in cui le informazioni personali possono sempre essere sotto l’esclusivo controllo dell’individuo che ne è rappresentato che può disporne in modo indipendente, senza la necessità di affidarsi a intermediari terzi. In prospettiva l’adozione di alcune di queste possibilità offerte dalla blockchain può portare ad una redistribuzione degli utili miliardari finora appannaggio dei Big.
Si ferma al 4% chi ha realizzato o conosce direttamente casi d’uso in ambito DeFi, la finanza decentralizzata abilitata dalla blockchain, che ancora oggi è molto poco diffusa in Italia.
Il rapporto Ey individua questa scarsa dimestichezza come causa del basso livello di conoscenza e diffusione “sia perché è percepita come legata ad operazioni speculative e poco trasparenti sia perché poco approfondita, ma soprattutto perché non regolamentata: secondo il 58% dei rispondenti dell’EY-Qiibee Survey la regolamentazione del mercato attuale non è sufficiente”.