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Galileo Galilei, le opere galeotte che gli valsero un processo

Francesca Moretti

DiFrancesca Moretti

Mar 31, 2023

Perché si è soliti definire il Seicento come un secolo di decadenza? Verosimilmente la mediocrità della poesia e di alcune parti della prosa potrebbero giustificare l’attributo, ma al contempo va ricordato che il Seicento ha visto, in Italia, menti illuminate del calibro di Galilei, passato alle memorie storiche per la sua intensa attività di scrittore e scopritore.
Galileo Galilei nasce a Pisa nel 1564 da una famiglia appartenente alla media borghesia. Nel 1581, per volontà del padre, si iscrive alla facoltà di medicina dell’Università di Pisa, da subito dimostra scarso interesse per questo tipo di studi, e così abbandona la facoltà per dedicarsi alla fisica e alla matematica, e bene ha fatto visto le numerose opere che la sua acutissima mente ha partorito.

Galileo davanti all’Inquisizione, 1857, Cristiano Banti, Palazzo Foresti

Com’è che un geniaccio del suo spessore finisce per essere citato dal Papa, all’epoca Urbano VIII, a comparire dinanzi a S. Uffizio a Roma?
Orbene si sa che il nuovo spaventa e se per giunta fa vacillare l’autorità ecclesiastica con tesi che vanno a cozzare con quanto riportato nelle Sacre Scritture il tragico epilogo non può che essere l’abiura di Galilei, il quale, e come se non bastasse l’Inquisizione con le amare conseguenze, si deve pure ritenere fortunato che la pena del carcere a vita gli viene tramutata in confino, prima nella residenza signorile del suo amico, arcivescovo di Siena, e poi presso la sua villa di Arcetri, dove viene assistito amorevolmente dalla figlia suor Maria Celeste. Nel 1642 Galilei chiude per sempre i suoi occhi ormai ciechi ma che tanto lontano hanno saputo vedere.

Alle alte cariche religiose non sono andate a genio diverse scoperte di Galilei e meno ancora due scritti: “Saggiatore”, in cui polemizza contro le balzane teorie professate dal gesuita Orazio Grassi, teorie che, con le conoscenze acquisite nel corso degli anni nell’ambito dell’astronomia, non risulteranno poi così strampalate; “Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo”, vale a dire il tolemaico e il copernicano. La pubblicazione di questi suoi studi portano Galilei diritto al processo, insomma due opere galeotte, soprattutto la seconda, dove lo studioso, in buona fede, pensa di esprimere considerazioni di tipo metodologico, incoraggiato anche dall’ascesa al pontificato del cardinale Barberini, divenuto poi Urbano VIII, il quale gli aveva sempre mostrato accondiscendenza. Per quale motivo Galilei, scienziato e uomo di fede entra in polemica contro la Chiesa e i teologi? Ė presto detto, il risultato delle opere di Galilei è la difesa della libertà della scienza, baluardo dell’indipendenza del nuovo sapere, Galilei non ammette ingerenze esterne. Da uomo di fine intelletto intuisce che la lotta per l’autonomia della scienza è un’esigenza storica di fondamentale importanza perché ne va di mezzo il futuro dell’umanità intera. Da ciò scaturisce la battaglia combattuta su due fronti, quello dell’autorità religiosa, impersonata dalla Chiesa, e quello dell’autorità culturale, impersonata dagli aristotelici.
Galilei ha pagato a caro prezzo la scelta di voler esprimere liberamente il suo pensiero di uomo e scienziato, addirittura in una lettera scritta a Madama Cristina osa affermare che la Bibbia ci insegna “come si vadia al cielo, e non come vadia il cielo”. A quanto pare su temi così scottanti le idee e le prese di posizioni dello studioso sono molto chiare.
Chissà se con il senno di poi Galilei si sarebbe ugualmente cimentato in tali dissertazioni?


Francesca Moretti

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