Quando la legge Basaglia era ancora meno di un embrione nel grembo del sistema sanitario pubblico in ambito psichiatrico, la poetessa Alda Marini viveva, in prima persona, l’esperienza dei trattamenti inumani riservati agli internati.
“Percorsi di cura” assai discutibili, e sempre che il termine “cura” possa ritenersi la forma corretta. A tale proposito esprimo il mio disappunto, anche se per onestà intellettuale, devo riconoscere che i tempi erano quelli che erano, conoscenze e competenze degli operatori assistenziali erano ancora in divenire; ciascuno nel suo campo faceva del proprio meglio. Senza voler giustificare nulla e nessuno, mi piace credere che ci abbia pensato la coscienza di tutti, perché voglio sperare che almeno quella non sia stata fritta dai loro stessi esperimenti.
Resta l’amara verità, ovvero, che quel tipo di terapia, più contenitiva che curativa e affatto ri-abilitante, ha segnato profondamente la personalità della Marini, forse, più della stessa psicosi maniaco-depressiva di cui era afflitta.
Ho sempre creduto che la fragilità psichica e/o fisica di una persona sia in grado di sviluppare una sorta di genialità, inizialmente incompresa, per poi, divenire una forma di arte di valore inestimabile e, ahimè, in molti casi, con riconoscimento pubblico postumo.
Alda Marini, per me, è l’archetipo di donna fragile e forte al contempo, che ha vissuto la sua malattia in modo consapevole e che, con le sue doti di talento misconosciuto, ha sublimato in versi poetici. Ha tramutato la sua fragilità in uno stato di forza saldo e duraturo nel tempo e nello spazio, esattamente come le sue liriche.
Oggi, voglio proporvi, La Terra Santa. Alda Marini è stata internata in un ospedale psichiatrico per ben 13 anni della sua vita, dal 1965 al 1978. La Terra Santa è una raccolta di poesie che richiamano quell’esperienza amara. A mio avviso, un vero e proprio capolavoro, dove la poetessa descrive il manicomio e i brutali metodi di internamento mediante l’uso di figure bibliche assai suggestive.
ALDA MERINI, La Terra Santa (1984).
Ho conosciuto Gerico,
ho avuto anch’io la mia Palestina,
le mura del manicomio
erano le mura di Gerico
e una pozza di acqua infettata
ci ha battezzati tutti.
Lì dentro eravamo ebrei
e i Farisei erano in alto
e c’era anche il Messia
confuso dentro la folla:
un pazzo che urlava al Cielo
tutto il suo amore in Dio.
Noi tutti, branco di asceti
eravamo come gli uccelli
e ogni tanto una rete
oscura ci imprigionava
ma andavamo verso la messe,
la messe di nostro Signore
e Cristo il Salvatore.
Fummo lavati e sepolti,
odoravamo di incenso.
E dopo, quando amavamo
ci facevano gli elettrochoc
perché, dicevano, un pazzo
non può amare nessuno.
Ma un giorno da dentro l’avello
anch’io mi sono ridestata
e anch’io come Gesù
ho avuto la mia resurrezione,
ma non sono salita ai cieli
sono discesa all’inferno
da dove riguardo stupita
le mura di Gerico antica.
Le dune del canto si sono chiuse,
o dannata magia dell’universo,
che tutto può sopra una molle sfera.
Non venire tu quindi al mio passato,
non aprirai dei delta vorticosi,
delle piaghe latenti, degli accessi
alle scale che mobili si dànno
sopra la balaustra del declino;
resta, potresti anche essere Orfeo
che mi viene a ritogliere dal nulla,
resta o mio ardito e sommo cavaliere,
io patisco la luce, nelle ombre
sono regina ma fuori nel mondo
potrei essere morta e tu lo sai
lo smarrimento che mi prende pieno
quando io vedo un albero sicuro.
A suon di paragoni e metafore Alda Marini catapulta il lettore nelle possenti mura del manicomio dove si trova ricoverata; mura forti somiglianti a quelle che cingevano la città palestinese di Gerico.
E che dire di quei farisei responsabili delle inflessibili regole vigenti nel manicomio? Un’immagine biblica evocativa quella dei Farisei, i quali osteggiavano attivamente ogni insegnamento di Gesù, fermi com’erano nel loro convenzionalismo religioso. La poetessa ci rimanda allo stato di isolamento degli internati in “una rete oscura che ci imprigionava ma andavamo verso la messe…”
La rete oscura altro non è che una fredda stanza geometricamente limitata da una rete, e i ricoverati – prigionieri vanno verso la messe (il raccolto). Ancora una volta, il richiamo esplicito al Testo Sacro, alle parole di Gesù, che usa come metafora dei suoi fedeli da assistere.
Un bel giorno, però, l’io poetico di Alda si desta da dentro l’avello, ovvero il sepolcro, e come Gesù, risorge. Disgraziatamente non giunge in paradiso ma va diritta all’inferno, ossia, ritorna a vivere nel mondo di quelli che si spacciano per sani mentali.
Per Alda si è chiusa la dolorosa esperienza in manicomio, ambiente insalubre e cinto da mura impenetrabili e simile a una vera e propria tomba, ma fuori cosa l’attende? Fortemente provata da giorni bui trascorsi in completo isolamento e torturata da periodici elettrochoc, si affida alla sola terapia salvifica: la poesia, dimostrando che pure “un pazzo è in grado di amare”.
Le sue poesie sono profonde e bellissime. Grazie x il bell’articolo e l’interesse che hai saputo suscitare penetrando nella profondità dei versi e della sua vita